“Una volta c’erano i ruoli per gli attori, adesso li fa tutti Favino” diceva Martellone (Massimiliano Bruno) in Boris, ormai dodici anni fa, e continua a farli quasi tutti lui, compreso il ruolo di Marco Carrera nel film “Il Colibrì” diretto da Francesca Archibugi (Il nome del figlio, Gli sdraiati) e tratto dal romanzo omonimo di Sandro Veronesi del 2019 e vincitore del Premio Strega 2020.
La storia ripercorre la vita del protagonista, Marco Carrera (interpretato da Pierfrancesco Favino da adulto ed anziano e da Francesco Centorame da giovane), delle sue disgrazie e del suo modo di affrontarle, dei suoi amori e delle sue amicizie. Insomma, è come se un giorno qualcuno decidesse di fare un film riassumendo la vostra vita, perché quello che ci si pone davanti è proprio questo, una vita qualunque segnata da eventi negativi e difficili da affrontare. Ci si sente partecipi di quanto vive Marco, di come affronta i disturbi mentali di chi lo circonda e di come si ritrova a vivere un amore diverso da quello che sognava da ragazzo.
Il racconto è trasposto come una serie di flashback e flash forward, messi insieme come un filo aggrovigliato che va via via dipanandosi col proseguimento della trama, tuttavia è facile terminare la visione con qualche dubbio su alcune scene, sia sull’effettivo significato sia sul corretto piano temporale a cui appartengono. Durante la visione del film viene in soccorso il trucco che invecchia e ringiovanisce i personaggi in modo eccelso e ci aiuta a collocare le scene all’interno della vita di Marco, ma più volte ci siamo chiesti quando fossero ambientate, perché qualche attore ci sembrava più invecchiato di altri.
C’è da dire che purtroppo l’accoppiata trucco più Favino, facendo sempre miracoli, fa venir meno la sospensione dell’incredulità, perché è innegabile che alla comparsa di un Favino invecchiato praticamente alla perfezione l’attenzione passi dal film a “come l’hanno invecchiato bene”, è un peccato perché oscura l’ottimo risultato, ma è probabilmente la conseguenza della citazione in apertura.
Nel cast possiamo trovare anche le ottime Kasia Smutniak (Marina, la moglie di Marco) e Bérénice Bejo (Luisa, amica d’infanzia di Marco) e una sempre splendida Laura Morante (Letizia, la madre di Marco) accompagnate da Sergio Albelli (Probo, il padre di Marco), Alessandro Tedeschi (suo fratello), Nanni Moretti (amico e confidente di Marco) e Massimo Ceccherini (l’amico iellato). Nell’elencare i comprimari si capisce come tutto ruoti intorno a Marco tant’è che molte volte sembra quasi che lui sia un semplice spettatore impotente, trasportato dallo scorrere degli eventi; solo proseguendo nella visione si riesce a capire quanto abbia influenzato la vita di chi lo circonda.
In conclusione, “Il Colibrì” racconta una bella storia, tocca dei temi importanti in modo diretto ed efficace, come ad esempio la sanità mentale e lo fa attraverso uno schema narrativo a tratti confuso, ma piacevole nel complesso. Uno di quei film di cui è bello discutere una volta usciti dalla sala.
P.S. se qualcuno capisce senso e collocazione della scena alla dogana ce la spieghi per favore!