Home Film Avatar – La via dell’acqua: l’incontro stampa con il produttore Jon Landau

Avatar – La via dell’acqua: l’incontro stampa con il produttore Jon Landau

by Luca Pernisco

Chi scrive ha avuto il privilegio di guardare in anteprima alcune scene tratte da Avatar – La via dell’acqua, il nuovo film di James Cameron in uscita il 14 dicembre. Ciò che è stato proiettato è una vera gioia per gli occhi: grazie all’utilizzo di avanzate tecniche di performance capture, personaggi e scenari animati in computer grafica e tecnologia 3D all’avanguardia, il pianeta Pandora torna a rivivere sul grande schermo dopo 13 anni di assenza. Il produttore Jon Landau si è preso l’incarico di riaccompagnare in questo meraviglioso mondo gli spettatori presenti in sala, rispondendo alle domande della stampa da remoto.

James Cameron sul set – COURTESY OF 20TH CENTURY STUDIOS

Jon Landau: Sono molto contento di aver mostrato in anteprima alcune scene di Avatar – La via dell’acqua. Jim Cameron inserisce nelle sue storie temi universali e nulla lo è più della famiglia. E la famiglia Sully è il cuore di tutti i nostri sequel di Avatar. Non si tratta solo di quella biologica, ma di quella che scegli, che ti dà un senso di appartenenza e di far parte di una grande comunità. La storia non è raccontata solo dalla prospettiva dei genitori, ma anche dalla prospettiva di un adolescente. Abbiamo adolescenti in lotta per trovare la propria identità, per trovare il loro posto nel mondo e scoprire quale sia il loro ruolo. Questo è ciò che fa Jim: crea temi accessibili per il pubblico di tutto il mondo. Abbiamo cercato di superare i confini della tecnologia e stiamo lavorando con la Weta Effects ancora una volta: stanno facendo un ottimo lavoro nel realizzare queste creature, questi personaggi e il mondo di Pandora. Stiamo realizzando quattro seguiti e abbiamo lavorato su ognuno di loro come se fossero degli stand alone. Ogni film si concluderà in base alla propria storia, ma guardandoli tutti insieme faranno parte di una grande saga epica.

I Sully – COURTESY OF 20TH CENTURY STUDIOS

Quali emozioni e atmosfere ci attenderanno in sala dal 14 dicembre? E, soprattutto, quali avventure dovrà affrontare la famiglia Sully?

I Sully saranno costretti ad abbandonare la loro casa e andranno verso i distanti atolli di Pandora. Cercheranno rifugio presso i clan di quei luoghi, che non vogliono necessariamente averli con loro e trattandoli come emarginati. Quindi dovranno trovare una nuova via in un nuovo mondo. E questo porterà a dei conflitti a cui una famiglia normale potrebbe andare incontro, come quando porti via i ragazzi dalla propria casa e loro non vogliono andarsene. In tutto questo, gli adolescenti cercheranno di trovare la propria identità. I giovani Sully sono quasi una razza mista: il padre è umano e la madre una Na’vi. Come possono fare i conti con questo aspetto, in un clan che non li conosce del tutto? Il pubblico andrà incontro a grandi avventure: il mare sarà una grande avventura e la foresta pluviale è ancora lì! Abbiamo tutto! Perché la gente ha bisogno dell’intrattenimento? Per evadere dal mondo in cui vive. E non c’è un mondo così grande come quello di Pandora dove poter fuggire.

(La nostra domanda al Sig. Landau): Purtroppo, nel corso di questi anni, abbiamo perso un elemento importante per il mondo di Avatar: James Horner. Abbiamo avuto modo di ascoltare il lavoro del suo degno sostituto, Simon Franglen. Come è stato lavorare con lui?

La morte di James Horner è stata una terribile tragedia. Ricordo perfettamente il momento in cui ho saputo della sua prematura scomparsa. Nessuno può prendere il posto di James, ma Simon Franglen non è nuovo di queste parti: ha fatto parte del suo team in Titanic, in Avatar e perfino quando stavamo costruendo Pandora: The World of Avatar al Disney’s Animal Kingdom. Quindi Simon ha nel suo sangue, innatamente, i suoni di Pandora e ha fatto un lavoro notevole nel canalizzare la filosofia di James Horner su come combinare suoni indigeni ad un’orchestra tradizionale. E non potevamo essere più che felici nel lavorare con lui in una condizione così difficile avendo perso James, che aveva scritto tutti i brani originali del primo film.

James Cameron sul set – COURTESY OF 20TH CENTURY STUDIOS

Questo secondo film, secondo molti, ha avuto una produzione a dir poco travagliata. Qual è stata la difficoltà più grande che avete riscontrato in questo sequel rispetto al primo film a livello tecnico? L’ostacolo più grande che avete dovuto superare?

La più grande sfida che abbiamo avuto e che ha portato via tanto tempo è stata quella di realizzare quattro sequel contemporaneamente. Quindi le sceneggiature hanno richiesto molto tempo per essere scritte, perché non volevamo iniziare la produzione senza averle pronte, in modo da far sapere al cast e agli scenografi dove si sarebbero trovati, ed essere molto più efficienti. In più, dovevamo avere a disposizione i nostri giovani attori senza lasciar passare due anni circa da un film all’altro. Le sfide più grandi sono state due. La prima è la performance capture sott’acqua: non volevamo far mimare agli attori il movimento subacqueo, li abbiamo addestrati in modo che potessero andare sott’acqua e trattenere a lungo il fiato, così da poterci dare delle performance coinvolgenti. Abbiamo dovuto costruire una vasca da due milioni di litri. L’altra grande sfida è stata quella di dover realizzare molte più scene di attori in carne ed ossa in un mondo in CGI e, viceversa, personaggi digitali in un mondo live action.

James Cameron ha detto in un’intervista che, data la grandezza di questi sequel, a volte c’è stato da combattere anche con gli studios sui tempi e su ciò che volevate. Quali erano per voi i punti irrinunciabili di questi film?

Jim si riferiva di più a ciò che è successo durante il primo Avatar, dove lo studio ci chiedeva se fossero necessarie le scene di volo o se sarebbe servita la morte di Grace. E questi erano dei punti che volevamo mantenere, fondamentali per il film. Per questo sequel, visto il tipo di relazione con i 20th Century Studios e la Walt Disney Pictures, non abbiamo avuto molte battaglie su cosa tenere o meno, sono stati alquanto di supporto ed abbiamo avuto un grande rapporto. Quando stavamo realizzando il primo, la gente vedeva le cose superficialmente: un film su persone blu con la coda e con temi ambientali. Ciò ha reso alcune persone apprensive, ma questi sono i temi che ci hanno catturato fin dall’inizio e che ci hanno portato a creare un’opera che qualche anno prima non avreste potuto immaginare.

Questo film e gli altri sequel saranno nuovamente in 3D. Ultimamente si è persa molto questa tecnica. Come mai viene usata molto meno?

Crediamo che il 3D migliori l’esperienza cinematografica. Lo vediamo come una finestra verso un mondo, non un mondo che viene fuori da una finestra. Ciò che è accaduto dopo Avatar è stato che la gente degli studios ha iniziato a dire “facciamo tutto in 3D!”, senza capire che questa tecnica non rende un film migliore, ma intensifica ciò che è già presente. Ci sono stati pochi registi che hanno abbracciato l’idea di realizzare un film in 3D nativo: Martin Scorsese con Hugo Cabret o Ang Lee con Vita di Pi, li ho adorati entrambi. Spero che Avatar – La via dell’acqua apra una piccola breccia nei cuori dei filmmaker, perché siamo convinti che possa dare un’esperienza unica, che non si può avere di certo a casa.

Sigourney Weaver è Kiri – COURTESY OF 20TH CENTURY STUDIOS

Sigourney Weaver tornerà nel film, ma questa volta interpretando un altro personaggio. Può svelarci qualcosa al riguardo?

Sì, Sigourney è nel film e l’avete vista proprio oggi: interpreta Kiri, la figlia adottiva quattordicenne di Jake e Neytiri. Nella scena del laboratorio interpreta tre personaggi, in realtà: interpreta Grace Augustine, nel monitor, poi il suo Avatar dormiente nella vasca e infine Kiri. Ho parlato con Sigourney la settimana scorsa e mi ha raccontato che interpretare questo personaggio le ha permesso di essere più giocosa, un’esperienza che non ha mai avuto realmente, perché non aveva mai pensato di poter interpretare una quattordicenne. Questa è una delle grandi cose della performance capture: permette alle attrici di poter portare in scena personaggi impensabili!

Avatar è stato il più grande successo della storia del cinema, ma in un’altra epoca, prima della pandemia. Il pubblico potrebbe essere cambiato? Cosa vi aspettate?

Voglio condividere una cosa che è stata scritta per il New York Times, più o meno in questo modo: “l’intrattenimento si può avere anche a casa e il cinema come lo conosciamo oggi sarà destinato a morire”. L’hanno scritto nel 1983! La pandemia è arrivata ed è ancora fra noi, ma la gente continua a cercare l’esperienza cinematografica ed è stato confermato recentemente con Spider-Man: No Way Home e Top Gun: Maverick. Se distribuiamo film di buona fattura, allora la gente accorrerà. Credo che si possa fare un parallelismo fra l’industria cinematografica e quella musicale: andare al cinema è l’equivalente di un concerto dal vivo. Possiamo prendere tutta la musica disponibile in streaming, ma non potrà mai sostituire la grandezza di un concerto dal vivo! È questo che offre l’esperienza nelle sale cinematografiche, ma dobbiamo essere sicuri che possano presentare il film nel migliore dei modi, in modo da poter preservare questo tipo di esperienza per altre decadi.

Avatar – La via dell’acqua riporterà un modo di fare cinema in disuso oppure proporrà un nuovo modo?

Penso che quello che ha fatto Jim storicamente, in ogni film realizzato, è stato quello di far progredire la tecnologia, aprendo le porte ad altri registi. Altre volte ha aperto le porte a sé stesso: in The Abyss ha scritto la scena del ricciolo d’acqua, realizzato poi al computer e lo ha fatto per vedere se avrebbe potuto utilizzarla in Terminator 2 – Il giorno del giudizio. Grazie a questo, è stato realizzato successivamente Jurassic Park, dopodiché Titanic, dove abbiamo popolato le scene con comparse digitali, ispirando così Peter Jackson per la realizzazione de Il signore degli anelli. Quindi Jim ha sempre cercato di espandere i confini della tecnologia ed è una cosa che mi rende sempre entusiasta nel lavorare con lui. Ogni giorno è una sfida!

Il fatto che il film sia stato rimandato più volte è stato letto anche in chiave negativa. Tuttavia James Cameron è noto per essersi spesso allontanato dall’industria cinematografica, per poi tornare e rinnovarla.

In realtà ci abbiamo messo meno tempo rispetto a Top Gun: Maverick! Quello che possiamo portare sullo schermo adesso non sarebbe stato possibile cinque anni fa. Jim è un esploratore. Ha deciso di esplorare le profondità degli oceani, aiutando a costruire un nuovo sottomarino. Ecco perché si è preso meritatamente del tempo dopo aver completato Avatar. Poi ce lo siamo presi per le sceneggiature e tutto il resto, completando la produzione del primo, secondo, terzo sequel e il primo atto del quarto. Ecco perché c’è voluto così tanto. È servito anche alla Weta per far progredire ancora di più la tecnologia.

Creature subacquee – COURTESY OF 20TH CENTURY STUDIOS

Nel film è centrale il tema dell’ambiente: questo può aiutare le nuove generazioni a sensibilizzarsi su questa tematica?

Spero che lo faccia. Nel primo Avatar si comincia con l’apertura degli occhi di Jake Sully. L’ho sempre vista come una sfida verso le persone, per far capire che le loro azioni hanno un impatto sulle chi gli sta attorno, nel mondo. In un film non possiamo predicare, ma ispirare, usare la fantascienza come una metafora per il mondo in cui viviamo. Sarà un tema prevalente in tutti i sequel ed è molto importante per me e Jim. Abbiamo cercato di riportarlo anche sul set, evitando di usare bottiglie di plastica, per esempio. Spero che uscendo dalla sala le nuove generazioni guarderanno il mondo in modo diverso e che riusciranno a comprendere la connettività che abbiamo con le persone intorno a noi.

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