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Recensione Elvis

by Luca Pernisco

“Elvis ha lasciato l’edificio!”. Questa era l’iconica frase utilizzata per avvisare il pubblico di non attendere o cercare il re del rock dopo un concerto, per chiedere un autografo, una foto o chissà che altro.

Sì, proprio lui, il Re del Rock and Roll: Elvis Presley! Un mito che ha infiammato una generazione. Per le strade, i locali, ma soprattutto nei casinò di Las Vegas, potrebbe capitare di incontrare più di un imitatore, alcuni lontani anni luce dalla sua somiglianza fisica, ma ai quali basta soltanto la pettinatura, l’inconfondibile vestiario sfoggiato e gli occhiali da sole per rendere omaggio al proprio idolo. E Graceland, la sua celebre dimora a Memphis, è diventata da decenni un luogo di pellegrinaggio che non ha nulla da invidiare ad altri siti di carattere più religioso. L’aspetto di Elvis, la sua voce, le sue canzoni, le sue movenze, il suo stile, sono peculiarità indelebili anche per chi non ha esplorato fino in fondo la sua carriera. Ma chi ha contribuito a renderlo un idolo immortale?

Quello che forse in molti non sanno, sono certe traversie che si sono svolte dietro le quinte. Chi ha “tirato le fila” per quasi tutta la sua carriera? La risposta è una, e forse spiacevole: il cosiddetto “Colonnello” Tom Parker, che ha dato sì un enorme contributo nell’elevarlo a star di portata mondiale, ma facendogli pagare un caro prezzo… e non solo monetario.

La storia viene narrata proprio dal punto di vista del colonnello (Tom Hanks), fiero imbonitore che si proclama innocente nelle sue scorrette azioni e rivendica il suo ruolo nell’aver consacrato Elvis Presley. Rivediamo così la scoperta del mito: dagli inizi nei sobborghi di Tupelo, influenzato dalla musica eseguita dalla ghettizzata comunità afroamericana, fino alle prime esibizioni nelle fiere di paese, per poi esplodere definitivamente come idolo delle teenager, provocando anche l’ira dei benpensanti che non tollerano le sue “peccaminose” mosse. Si ripercorre anche il rapporto coi genitori (Helen Thomson e Richard Roxburgh), l’incontro con l’amata Priscilla (Olivia DeJonge), la carriera cinematografica, le gioie, i dolori… e ovviamente il triste declino. 

Elvis Presley è stato ovviamente immortalato parecchie volte nel corso di più di quarant’anni di cinematografia e televisione. In pochi forse ricorderanno Elvis, il re del rock di John Carpenter, film televisivo interpretato da un ottimo Kurt Russell (che ha avuto modo di lavorare con il vero Elvis all’età di 12 anni), mentre altri, invece, rammenteranno l’apparizione fugace e fantasiosa in Forrest Gump, dove il Re (doppiato in originale sempre da Kurt Russell) imparava i suoi iconici passi proprio dal piccolo Forrest; oppure nel ruolo di mentore spettrale in Una vita al massimo, dove Elvis veniva interpretato (ma mai inquadrato chiaramente) da Val Kilmer.

Questa volta, il re del rock si è finalmente meritato una pellicola di tutto rispetto per il grande schermo, curata dal regista di Romeo + Giulietta e Moulin Rouge!: Baz Luhrmann. Il suo stile inconfondibile, sfrenato, sontuoso, rende il film un proiettile e una gioia per gli occhi. Come in Moulin Rouge!, il regista impiega un variegato numero di canzoni, non avvalendosi soltanto di uno scontato utilizzo di quelle appartenenti ad Elvis stesso. Vi sono cover di gruppi contemporanei, come “If I Can Dream” eseguita dai nostri connazionali Måneskin e nuovi brani di generi completamente al di fuori del periodo storico narrato. 

Ma chi, questa volta, ha avuto il difficile compito di far rivivere l’iconico artista? Austin Butler, che a prima vista potrebbe sembrare non molto somigliante, ha dato anima e corpo per riprodurre i suoi passi, le sue movenze, la voce, gli accenti (chi scrive ha visto il film in lingua originale), il canto, ma soprattutto i suoi umori e i suoi affanni. Un lavoro impeccabile, quasi come se non ci fosse alcuna distinzione fra i due. È incredibile ciò che è riuscito a compiere questo giovane attore! 

Inutile precisare l’altrettanto risultato di Tom Hanks nel portare in scena il colonnello Parker, mimetizzato nel trucco e nell’ingombrante stazza, regalando così un’interpretazione feroce e altrettanto ineccepibile. Una sorta di Salieri al contrario, o quasi: se il maestro in Amadeus reclamava il fatto di aver ucciso Mozart, senza essere creduto, l’ormai anziano Tom Parker vuole far credere l’opposto e che l’aver scoperto e presentato una “mosca bianca”, giustifichi qualsiasi cinica scelta e infelice conseguenza. Una figura comunque ingannevole, che si presenta come amico e mentore, ma che altro non vuole che trarne un vantaggioso profitto, tenendo nella sua stretta “gabbia” la sua preziosa attrazione.

Elvis è quindi un trionfo! Un’opera imperdibile che permetterà a nuove generazioni di conoscere meglio questa icona. Elvis non “ha lasciato l’edificio”. Sarà sempre presente!

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